Effetto Ganzfeld, il potere suggestivo della videoarte

Bentrovati amici del Robyan Blog,

oggi vi voglio parlare di un evento veramente interessante che si è svolto il 6 febbraio di quest’anno al Cineporto di Foggia nell’ambito di “The Wrong” la Biennale d’Arte Digitale ormai giunta alla quarta edizione.

In collaborazione con Est-Ovest danza, Cinemadonia/Stigmamente e l’associazione “Parole Contrarie”, il padiglione itinerante “In Absentia” del collettivo artistico Semiosphera  segna a Foggia un altra tappa del suo percorso.

La serata ha preso il via con il giornalista Luigi Starace responsabile di Cinemadonia/Stigmamente  e il cineasta francese Jean – Patrick Sablot  che insieme hanno fatto una profonda riflessione sullo stato dell’arte dagli esordi di Dziga Vertov (David Abelevič Kaufman, regista, scenografo e teorico del cinema sovietico noto con lo pseudonimo Dziga Vertov) fino alle odierne narrazioni digitali.

La serata poi è proseguita con la proiezione delle opere dei quindici artisti selezionati:

Milos Peskir, Adrianne Wortzel, Johannes C. Gérard, Camelia Mirescu, Matteo Martignoni, Joanna Wlaszyn, Ian Gibbins, Abe King, Lori Ersolmaz, Costanza Savarese, Nicola Fornoni, Mark Niehus, Luca Serasini, Marie Craven, Anton Markus Pasing.

Dice Lino Mocerino curatore di ” The Wrong” a riguardo : “Il progetto è nato insieme a Francesca Giuliani,  abbiamo urlato due call e cercato di essere il più possibile aperti ed inclusivi, alcuni artisti li abbiamo persi per strada, alcuni si sono aggiunti in corso d’opera visto che è consentito dal regolamento, siamo stati felici di accogliere nuovi lavori come quello di Matteo Martignoni ed aprire la seconda call con il buon Willard Van De Bogart, raccogliendo contributi da “mostri” che lavorano al Massachusetts Institute of Technology, etc.

In gioventù ho lavorato in AREA Science Park a Trieste e il pallino dell’intersezione tra arte, tecnologia e scienza resta per me un collante universale.”

Ha del sorprendente, la natura allucinatoria del cinema — sostiene Francesca Giuliani — con le sue pratiche già note ai tempi dei pitagorici. La selezione dei lavori che hanno aderito al bando stavolta indugia nella vastità delle modalità dei contenuti pervenuti per una tecnologia ormai consolidata.
È dai fratelli Lumière — continua Lino Mocerino — che il grande schermo sdogana la techne del precinema nel nome della fruizione collettiva. La discrezione del buio della sala diventa uno strumento di emancipazione essenziale ancor oggi per la fruizione degli spazi condivisi.

opere:

Digital Fossil Corrupt-Galatian Milos Peskir  – The Sentient Thespian Adrianne Wortzel – Knife Relations! Johannes C. Gérard – Promised Clouds Camelia Mirescu – Mars Absorption Matteo Martignoni – Nostalghia 4.0 Joanna Wlaszyn – Whit my eyes closed. Imaginary Midline Ian Gibbins 

Gost Glitch Abe King –  A Triphtyc Filmpoem Lori Ersolmaz –Wonderland Costanza Savarese e Lara Genovese – Overshoot Day Nicola Fornoni – Rattle Mark Niehus – Orion the Big Hunter Luca Serasini – I Don’t Own Anxiety Marie Craven – Cloud Lover Anton Markus Pasing

 

Sui curatori…

Semiosphera è un progetto nato da Francesca Giuliani e Lino Mocerino.

Artisti e curatori, lavorano sulle semiotiche creative ricevendo premi dal MIUR e menzioni su i-DAT, spin-off creativo dell’Università di Plymouth.

Con un approccio hands-on, le loro ricerche sono pubblicate negli Stati Uniti in volumi curati da Sonia Landy Sheridan e i loro progetti partecipati sono patrocinati da enti come il MiBACT.

Tra ricerca sul campo e tecnologia, arte post-internet e storytelling digitale, la loro lente tende tanto alla diffusione dei nuovi media quanto alla riscoperta delle radici delle pratiche creative.

In conclusione…

L’ Arte digitale in ogni sua forma offre spunti creativi inimmaginabili con altri mezzi, tuttavia si osservano ancora delle resistenze da parte di critici ed appassionati d’arte come fu allora per gli impressionisti.

Alcuni giudicano fredda la connessione tra arte scienza e tecnologia, ma a mio avviso il mezzo non fa l’opera: la tecnica al servizio del talento e mai viceversa, offre all’artista infinite possibilità mai avute prima, resta la difficoltà di monetizzare questa forma di fruizione che di fatto complica l’inserimento di queste forme d’espressione nel maintream, ma sono certa che presto anche questo “problema” verrà risolto: il futuro dell’arte è nel digitale.

E a tale proposito non posso fare a meno di pubblicare un estratto dal Manifesto del Digitalismo (redatto da Lorenzo Paolini nel 1997), corrente artistica a cui aderisco per affinità elettive, come chiosa:

“[] Noi affermiamo, con forza e convinzione, che la nuova Arte dimora non tanto nel manufatto che la ospita, ma nel concetto che la modella.

Noi affermiamo, con forza e convinzione, che la concezione dell’opera d’Arte (la visione dell’Artista cristallizzata nel file digitale come i versi di un poeta nell’alfabeto) e la produzione del manufatto (come la stampa) sono atti separati.

Noi affermiamo, con forza e convinzione, che l’unicità dell’opera e la sua diretta emanazione dalle mani dell’Autore, fino ad oggi considerati dei valori, sono piuttosto delle barriere che sono state abbattute grazie alle nuove tecnologie digitali.

Noi affermiamo infine, con forza e convinzione, che la tecnologia, creata dall’uomo e per l’uomo, è solo un amplificatore della nostra anima. Grazie alla tecnologia l’Arte, la nostra Arte, può essere quindi universalmente goduta ed eternamente conservata. L’ Arte diviene così senza frontiere, senza barriere, senza tempo e senza discriminazioni sociali.

Rifiutiamo infine di classificare come pittura digitalista tutte quelle esperienze, meccanicistiche e prive di contenuti, nelle quali le macchine, sia pur programmate dall’uomo, producono autonomamente o casualmente, effetti astratti o decorativi.

L’ Arte, come dalla notte dei tempi, scaturisce dalla mente e dal cuore dell’Artista. Qualsiasi ne sia il soggetto, il significato, la finalità, l’Opera rimane un’esperienza personale ed espansiva fra il creatore ed il fruitore. “

 

Roberta Fiano

 

 

 

 

 

 

Cinema sperimentale. La Cinepittura e Le Rythme colorè

Amici di Robyan blog con questo mio contributo, oggi voglio parlarvi del cinema sperimentale nato intorno al 1910/1012 grazie a due giovani artisti futuristi il pittore Arnaldo Ginna (Arnaldo Ginanni Corradini) e lo scrittore Bruno Corra (Bruno Ginanni Corradini) e all’artista cubista Leopold Survage.

 

La Cinepittura di Ginna e Corra

Dopo l’avvento del cinematografo, cominciarono varie sperimentazioni artistiche legate a questo nuovo mezzo d’espressione: il più significativo e innovativo fra tutti fu la Cinepittura dei due fratelli artisti futuristi Ginna e Corra.

L’idea di dedicarsi a sperimentazioni con la pellicola cinematografica, venne nel 1912 a Ginna realizzatore del film “Vita Futurista” del 1916. Ginna dopo aver studiato i mosaici ravennati, si diede alla sperimentazione insieme al fratello Corra per creare la musica cromatica o gli accordi cromatici, ottenuti con una particolare modalità d’ esecuzione: dipingendo direttamente su pellicola, usando pellicole vergini senza nitrato d’argento e cercando di dare dunque un colore alle note musicali. I Corradini realizzarono sulla pellicola i loro esperimenti di musica cromatica, creando veri e propri disegni animati, prendendo  per spunto anche la musica con motivi di Chopin e di Mendelssohn.

Questi esperimenti che si riferiscono a studi cominciati prima del 1910 sono raccolti in “quattro rotoletti di pellicola” dei quali uno soltanto supera i duecento metri di lunghezza. “Essi”, scriveva il Corra, “sono qui, dentro il mio cassetto, chiusi nelle loro scatole, etichettati, pronti per il museo futuro. Contengono: lo svolgimento cromatico di un Accordo di colore tolto da un quadro di Segantini.”

Questi brevi filmetti purtroppo sono andati perduti, ci resta tuttavia testimonianza della loro esistenza nel saggio “Musica cromatica” di Corra inserito nel volume “Il pastore, il gregge e la zampogna” (1912), un quaderno che raccoglieva alcuni scritti suoi e di Settimelli, il titolo fu preso da un saggio sull’ opera di Enrico Thovez qui recensita e discussa.

“Musica cromatica” è un volumetto di circa venticinque pagine, in cui si parla appunto degli esperimenti di cinepittura dei fratelli Cinna e Corra.

L’idea era quella di dare colore alla musica e con il movimento della pellicola creare appunto un concerto di suoni e colori; Ginna  dipinse direttamente sulla pellicola, non esistendo all’epoca, una macchina che desse la possibilità di fare riprese a tempo e produrre un fotogramma alla volta, .

Nacque così la Cinepittura, quella che poi svilupperà Norman McLaren intorno agli anni della seconda guerra mondiale, usando la tecnica dell’australiano Leon Lye.

Contemporaneo alla Cinepittura è Le rythme colorè:

 

Leopold Survage e “Le rytme colorè”

Nel 1913 Survage, traendo spunto da uno dei suoi quadri cubisti più famosi, decise di dare colore al ritmo e per fare questo, cominciò a fare esperimenti con le pellicole, convinto assertore della tesi che non esiste in natura nulla di astratto e che nemmeno l’arte che viene definita astratta lo è, essendo i colori qualcosa di vero e concreto (poiché sono un prodotto della luce del sole), decise di colorare il ritmo musicale.

La mia intenzione, in pittura – asseriva Survage – era di fondare un’arte ancora da venire: non di imitazione, ma di spirito. Oggi quasi tutti copiano, con trasformazioni fantasiste. La mia intenzione era di non copiare niente, ma creare ritmi. Non obbedire all’occhio ingannatore, che mente, che copia.

Cominciò col verde che era considerato radioattivo (la terra è verde). ma ben presto si accorse che il rosso era più efficace e di maggiore sensibilità. Il rosso al centro a fianco vi aggiunse il verde quindi per sentimento il giallo e il blu colori figgenti che vanno verso la profondità,  a seguire il violetto che è autonomo, composto da colori puri e non si mischia al rosso e il blu, infine a cornice del rythme colorè il nero che fa il giro della terra.

immagine cinetica. movimento. ritmo visivo e suono in musica. sinestesia Kandinskij.

Nasce così “Le rytme colorè” che tanto colpì Apollinaire il quale convinse Survage a proseguire le sperimentazioni, pellicole che lo stesso Apollinaire decise di portare a Lucien Gaumont (famoso produttore cinematografico) al quale propose l’idea di realizzare un film vero e proprio e distribuirlo nelle sale cinematografiche di Francia, ahimè la guerra impedì tale processo, Gaumont dunque si premurò di restituire le pellicole a Survage.  Fu solo nel 1917 che Apollinaire guarito dalle ferite in guerra, riuscì a organizzare (chez Madame Bougard, rue dePunthièvre) la prima mostra di Survage: una mostra dedicata alla pittura in movimento.

Col Rythme coloré Léopold Survage diventa in modo incontrovertibile insieme ai futuristi Cinna e Corra uno dei precursori del movimento cinetico.

L’idea base del film non era la visione diretta, ma il ritmo.

Era il ritmo che doveva determinare la forma.

Il film non fu mai trasmesso e realizzato, ma restano le sequenze di circa dieci/quindici disegni ciascuna, raccolte nel volume “Les annèes heroiques” alcune di esse ora sono conservate al MOMA di New York e altre alla Cinémathèque Française di Parigi.

P.S.

Anche Picasso ha pensato, fra il 1912 e il 1913, alla possibilità di un film cubista; ma è probabile che l’idea gli sia venuta dallo stesso creatore del Rythme coloré cui, per l’appunto, ha dedicato uno schizzo (1913) nel quale si vede Survage disegnare un “ritmo colorato”.

Quanto vi ho raccontato lo devo al papà di Carlo Verdone, Mario.

Mario Verdone critico cinematografico e saggista, fu tra i primi a scrivere degli esperimenti di Cinna e Corra e nel 1964 intervistò Leopold Survage ormai novantenne, con l’ obiettivo di divulgare questa forma d’arte sperimentale che fino ad allora era rimasta  quasi del tutto sconosciuta.

Roberta Fiano

 

FLIC 2017 – Intervista ad Adriano Aprà

Entusiasta il pubblico presente all’incontro con Adriano Aprà, ospite d’eccezione al secondo appuntamento con l’Altro Cinema del FLIC 2017 a Lanciano, sezione curata dal regista Stefano Odoardi in collaborazione con la Superotto Film Production. Considerato il decano della critica cinematografica italiana, lo scorso 11 agosto Aprà ha presentato al Polo Museale S. Spirito il film di Odoardi “Mancanza-Purgatorio”, incluso di recente tra le 40 pellicole che rappresentano la via sperimentale del cinema italiano, sotto il marchio “FuoriNorma”.

Un marchio creato e promosso dallo stesso Aprà, che racchiude in sé una forma di network da lui ideato, con cui si darà inizio dal prossimo autunno ad un percorso di distribuzione e diffusione di 20 film in molte città italiane ed estere, partendo da Roma. Il Sindaco Mario Pupillo ha assicurato il suo impegno affinchè anche Lanciano possa rientrare nel circuito delle città che ospiteranno questi film, penalizzati da una rete di distribuzione fin troppo abusata. Un viaggio nel cinema sperimentale in cui lo spettatore, come nella nave cargo di “Mancanza-Purgatorio”, potrà oltrepassare confini a lui finora noti, per spingersi oltre. Oltre ciò che è conosciuto e verso ciò che è conoscibile dell’universo cinematografico. Il “traghettatore” sarà Adriano Aprà, come lui stesso preferisce definirsi. Come l’Angelo interpretato da Angélique Cavallari, cercherà con questo nuovo progetto di offrire allo spettatore l’opportunità di approdare ad una sponda ulteriore, dove c’è qualcuno o qualcosa che lo attende.

Una sorta di non-luogo che sembra rappresentare l’intuizione di una destinazione altra. A tale proposito, Aprà accenna al “Nosferatu” di Werner Herzog del 1979, un remake del famoso film di Murnau girato agli inizi del secolo scorso, che segnò un collegamento tra il grande cinema tedesco del passato e il cosiddetto “nuovo cinema tedesco”. Chi sceglie di fare o sostenere il cinema sperimentale, sceglie di spaziare oltre i limiti di modelli rassicuranti e già decodificati, troppo spesso protetti fin dentro le stesse mura accademiche. Decisione coraggiosa, soprattutto nel nostro Paese, dove il principale punto di debolezza relativo alla produzione e alla distribuzione cinematografica è rappresentato dal Sistema stesso. Sistema che si discosta nettamente, ad esempio, da quello del Portogallo, uno dei Paesi Europei che maggiormente supporta il cinema d’autore. Tra i registi italiani viventi, Aprà mostra di apprezzare in particolare Marco Bellocchio, artista trasgressivo e affatto rassicurante, ostinato e contrario a qualsiasi tipo di compromesso.

In veste di regista, Aprà ha girato lungometraggi definiti critofilm, termine riferito a film sulla storia del cinema, sulle cinematografie nazionali, sugli autori e su molto altro ancora. Un neologismo che, al tempo stesso, indica un nuovo modo di fare critica, avvalendosi di uno strumento omologo a quello dell’oggetto di cui si parla, che va ad arricchire i saggi scritti. Attualmente, a fronte di diverse variabili che influiscono sulla formazione dei giovani, si assiste ad un preoccupante analfabetismo che penalizza la conoscenza, la creatività e l’ingegno in tutti i campi, soprattutto in quello cinematografico. Nella sua esperienza di docente universitario, Aprà ha rilevato che solo l’1 % dei suoi studenti aveva un buon livello culturale e una capacità di spaziare oltre i confini che tendono ad ingabbiare il cinema italiano.

Irene Giancristofaro

foto: Antonella Scampoli.