A mistery of art history: Robyan investigates…

Today, I want to tell you what might be a mystery of art history and that at least it will remain unsolved until the owner of that painting will be ready to contact an expert.
Chatting with her I offered any help with my blog, and here I am, telling you her story, hoping some experts social friends of mine and also the Robyan blog followers can give us a hand.

Everything started when Grazia Marino de Robertis (this is the name of the protagonist) meets a friend (she doesn’t mention the name because of privacy) that was photographed near to a painting.

She was probably to an Antiquaria fair.

When Grazia sees the photo she has an heartbeat: two of her ancestors … obviously she contact her friend immediately and she, kindly gives her more details.
So Grazia goes to her house and after a few days she shows her painting.

If you look they resemble and even a lot!
Probably not the same hand …
Maybe a trainee student …
But who’s the art workshop?

And this is the amazing thing …
The cartouche says Annibale Carracci: the painting  is oil on paper applied on cardboard, while the painting of Grazia is on canvas …
Grazia said that one of them should be the parent of her genealogical branch who served at Cardinal Alberoni, an intriguing prelate bound to the Farnese …

Unfortunately, she doesn’t have much news about it, but in my opinion it is a real mystery to discover, what do you think?

Shoe’s Killin’ Worm, ovvero la scarpa sta uccidendo il verme…

Dopo una pausa di riposo dalle fatiche artistiche di quest’anno, ritorno a parlare di artisti, questa volta è musica e loro sono gli Shoe’s Killin’ Worm  che tradotto in itlaiano è la scarpa sta uccidendo il verme.

Vi racconto com’è cominciata.

Inverno 2004 vino, poesia e chitarre, due amici Marco e Luca, una macchina due acustiche incastrate tra i sedili e un walkman scassato per registrarle, così nascono gli Shoe’s Killin’ Worm (“la scarpa sta uccidendo il verme”), nome ricavato da una specie di esperimento dada realizzato tagliando e incollando insieme titoli di brani di Charlie Parker posati sul dorso di un pianoforte.


I generi di riferimento sono il post-rock dei Sigur Ros, Mum e Mogway, l’elettropop degli Air, l’elettronica di Bjork e il trip-hop dei Portishead e dei Massive Attack, l’indie-rock dei Motorpsycho e dei Radiohead.

In dieci anni di attività, gli Shoe’s hanno diviso il palco con diversi gruppi della scena alternative rock italiana, quali Giardini di Mirò, Offlaga Disco Pax, Nomadi, Folkabestia, Bud Spencer Blues Explosion, Perturbazione e 99 Posse e con alcuni cantautori come Panceri, Sepe, Cristicchi, Ivan Segreto, Diego Mancino, Andrea Appino, Edda, Erica Mou, Giorgio Canali, Umberto Maria Giardini, Mauro Giovenardi, Marina Rei.

I membri del gruppo oltre ai due fondatori Marco Maruotti alla chitarra e Luca Rossetti voce e chitarra, sono: Gianluca Grazioli synth e chitarra, Mimmo Brunetti al basso e Francesco Pece alla batteria.

Il loro stile pur avendo molte influenze è fresco e insolito, le sonorità elettroniche si sposano perfettamente con un rock pulito e puro, i testi si legano alla musica in un insieme armonico e dissonante al tempo stesso, ascoltandoli ti lasci trasportare in queste atmosfere oniriche al limite del surreale e se chiudi gli occhi, vedi la giraffa in fiamme di Salvador Dalì.

http://www.shoeskillinworm.com/

 

 

Art Beat puntata n°7: Robyan parla di Arte Salerno 2017

Ecco finalmente il mio report su Arte Salerno 2017, una kermesse d’ arte contemporanea durata una settimana dal 4 all’ 11 giugno , giunta alla seconda edizione.

Questo grande evento artistico è stato organizzato da Artetra un’associazione che si occupa di arte contemporanea in Italia e all’estero insieme alla Prince Art Gallery del gallerista Armando Principe e Opera 74 il primo sito di E-Commerce d’arte contemporanea italiano: un concorso internazionale a cui ho avuto il piacere e l’onore di partecipare.

Il Direttore artistico Vittorio Sgarbi insieme al presidente della giuria il conte Daniele Radini Tedeschi con la presidente di Artetra Veronica Miccoli e il Gallerista Armando Prencipe hanno realizzato un evento eccezionale con un’imponente organizzazione, efficentissima e puntuale.

Trecento artisti e più di settecento opere esposte in tre suggestive locations : La stazione marittima opera di Zaha Adid, Palazzo Fruscione e il complesso Monumentale di Santa Sofia.

Per questo evento ho portato un trittico di pittura digitale dal titolo “Sign O’Times”

 

Sign O’ Times nasce parafrasando il famoso pezzo di Prince che fu pubblicato nel 1987, il cui testo parla del “Segno dei tempi” ovvero la violenza delle periferie degradate delle città americane, questo brano mi ha fatto pensare al contrasto con gli anni ’60, momento d’oro del boom economico, della sperimentazione in tutti i settori quali scienza, tecnologia, arte, musica, cinema, letteratura, moda: la società stava cambiando, c’era fiducia nel progresso e nascevano le prime subculture giovanili.

Mi sono dunque immaginata un trittico in stile “Optical” bianco e nero declinato geometricamente per creare un effetto appunto “ottico” e psichedelico.

Da Mary Quant che ha inventato la minigonna alla Pop Art di Wharol, la parabola ascendente dei sixites è in contrasto con il testo della canzone di Prince, che ne descrive invece il declino trent’tanni dopo.

Un trentennio dal’60 al ‘90 che ha segnato i tempi.

Contestualmente all’evento principale si sono svolti altri due eventi, la personale di Marisa Laurito che oltre ad essere una bravissima attrice brillante è anche una pittrice quotata e Ludmilla Radchenko modella e soubrette con la sua mostra pittorica e collezione di foulards dallo stile pop.

La giuria composta da galleristi, antiquari professori e curatori di fama internazionale ha selezionato una decina di artisti che hanno vinto premi importantissimi per la loro carriera: io non ho vinto ma il mio lavoro è stato acquistato da un collezionista e ne sono veramente felice.

Questo evento artistico ha dato lustro alla città di Salerno che negli ultimi anni sta vivendo un periodo d’oro, una città rinata che punta sulla cultura e sul turismo, gentilezza e cura per il cliente sono al primo posto, una rete solidale che sta dimostrando come con la cultura si può fare economia, specialmente in Italia un paese che ha un patrimonio culturale unico al mondo: l’arte, la cultura, i beni culturali e il turismo oltre all’enogastronomia sono il nostro petrolio. Arte Salerno ha dimostrato che “con la cultura si mangia” e si crea economia, personalmente ritengo che  questo evento sia una rivincita per il Sud e  che, a detta dello stesso Vittorio Sgarbi, potrebbe fare da volano per la nascita di una “Biennale del Sud” che faccia da contraltare alla “Biennale di Venezia”.

Contenta di questa esperienza, sono fiduciosa e spero che anche le amministrazioni di altre città italiane decidano  di raccogliere la sfida che ha raccolto  Salerno, puntando sulla cultura e il turismo culturale.

 

 

 

Art Beat episode 5: Robyan talk about Sandro Taurisani

Today I went to find a very original and eclectic artist and architect : Sandro Taurisani.

His large and luminous studio immediately welcomed me with a series of very interesting works that in some ways reminded me Escher, so after the conveniences I immediately started with the questions and I asked him how he started: Sandro told me that since a teenager he was impressed by the reading of  “The Garzanti Book of Art Education” wroted by Gavino Polo and Paolo Casadei.

From that moment he began to sketch drawings to fix inspiration and moments. of his life.

 

Crossing different stages of his artistic growth, Sandro has always set just one target: to find the substance without paying too much attention to form, he says:

“You do not have to think of the beautiful or what people may like , even if objectively the image that your instinct tells you is horrible, bad or strange, you have to follow it and get it out, this is also the advice it does to guys who want to take on the artist’s career.

He said to forget the academies that often break the wings of creativity to free their own fantasy following the inspiration of the moment.

A very important figure that led him to art is his dad, perhaps because of his friendship with the painter Enrico Pazienza, Andrea’s father.

Sandro remembers with nostalgia and affection those afternoons at home with his brothers drawing and then simulating an exhibition, hanging the finished works on the wall.

Artist but also architect and designer, Sandro has shown me some furniture made with raw ground (not clay) treated with a process that allows the creation of objects:
“A deep passion for the earth leads us to reflect on the primordial essence of this matter” (Sandro Taurisani and Carlo Pazienza)

Everything is born from the earth (Mother Earth), everything goes back to the earth.
He likes to draw a lot more than writing, through images he can express what he feel insiede more than written words, he also consider himself as an architect very closely linked to nature and close to what is custom – made.

This has  caused  many problems to Sandro  since at university, because his ideas contrast the current taste of great architects, who realize monumental and futuristic works with the same style in every part of the world, without considering what the ancient Romans called the “genius loci”, the spirit of the land.

You can not build the same thing in Paris and in a small village in China: every place has its character and its peculiarity.

A bit like some contemporary art also architecture has moved away from humanity to celebrate himself, in a sort of cold self-referentialism.

Finally i asked him about next projects: he told me that he is struggling to exhibit for sure in northern Italy in autumn and planning a return to Berlin (where he already did a solo exhibition).
Sandro also mentioned some lack of bravery in Italian gallerists and curators who prefer to invest in famous artists rather than take the risk launching emerging artists, something that does not happen in the others countries where they are much more careful and enterprising.
Needless to say  I totally agree with him.

 

 

Art Beat puntata n°5: Robyan intervista Sandro Taurisani

Oggi sono andata a trovare un artista e architetto sanseverese molto originale ed eclettico: Sandro Taurisani.

Il suo studio ampio e luminoso, mi ha accolto subito con una serie di suoi lavori molto interessanti e che per certi versi mi ricordano Escher, dopo i convenevoli sono subito partita con le domande e gli ho chiesto come avesse cominciato: Sandro mi ha detto di essere stato folgorato da adolescente verso gli undici/dodici anni da “Il libro Garzanti dell’educazione artistica” di Gavino Polo e Paolo Casadei.

Da quel momento ha cominciato a schizzare disegni per fissare ispirazione e momenti.

Attraversando fasi diverse della sua crescita artistica Sandro si è sempre prefissato un unico obiettivo: andare alla sostanza senza badare troppo alla forma, dice:

“non si deve pensare al bello o a ciò che può piacere agli altri, anche se oggettivamente l’immagine che il tuo istinto ti comunica è orrida, brutta o negativa, devi seguirla e farla uscir fuori, questo è anche il consiglio che do’ ai ragazzi che vogliono intraprendere la carriera d’artista.

Dimenticare gli accademismi che spesso tarpano le ali della creatività e liberare la propria fantasia seguendo l’ispirazione del momento.”

Una figura fondamentale che lo ha guidato verso l’arte è senz’atro il papà forse anche per via della sua amicizia con Enrico Pazienza, padre di Andrea.

Sandro ricorda con nostalgia e affetto quei pomeriggi a casa  con i fratelli a disegnare e poi simulare una mostra, attaccando i lavori finiti al muro.

Un background che lo ha formato artisticamente ed umanamente, insegnandogli anche a non affezionarsi troppo ai propri disegni, tanto che per un periodo ha cominciato a regalarli ad amici e parenti per amore di condivisione, salvo interrompere questo flusso per ritrovare un suo storico e conservare la memoria del suo percorso artistico nelle varie fasi.

Artista ma anche architetto e ora designer, Sandro mi ha mostrato alcuni elementi d’arredo creati con la terra cruda, non argilla ma proprio la terra cruda trattata con un preciso procedimento che consente la creazione di oggetti, mi ha dunque mostrato una memories box (una scatola dove contenere oggetti della memoria) e un porta fotografie, insomma non solo arte per l’arte, ma arte applicata: un concept contemporaneo legato agli oggetti con un riferimento alla terra(il materiale usato) e alle origini dell’uomo.

“Una profonda passione per la terra ci porta a riflettere sull’essenza primordiale di questa materia.” (Sandro Taurisani e Carlo Pazienza)

Tutto nasce dalla terra (terra madre), tutto torna alla terra.

Ama molto di più disegnare che scrivere, attraverso le immagini riesce ad esprimere ciò che a parole non potrebbe, si ritiene inoltre un architetto molto legato alla natura e vicino a ciò che è a misura d’ uomo.

Questo ha creato non poche difficoltà a Sandro già ai tempi dell’università, perché le sue idee contrastano il gusto corrente dei grandi architetti come Zaha Adid, che realizzano opere grandiose e avveniristiche con lo stesso stile in ogni parte del mondo, senza considerare quello che gli antichi romani chiamavano il “genius loci” ovvero lo spirito del luogo.

Non si può costruire la stessa cosa a Parigi e in piccolo villaggio in Cina: ogni luogo ha il suo carattere e la sua peculiarità.

Un po’ come certa arte contemporanea anche l’architettura si è allontanata dall’uomo per celebrare se stessa, in una sorta di autoreferenzialismo freddo e fine a se stesso.

Per finire gli ho chiesto dei progetti che ha in cantiere e mi ha detto che a fatica sta riprendendo a fare mostre: di sicuro un paio ne farà in autunno nel nord’ Italia e sta programmando un ritorno a Berlino (dove ha già all’attivo una personale), che trova molto viva e dove l’arte non è ghettizzata come avviene da noi.

Sandro ha anche menzionato una certa mancanza di coraggio dei galleristi e curatori italiani che preferiscono investire su artisti già di fama, piuttosto che rischiare, lanciando artisti emergenti, cosa che non accade all’estero dove invece sono molto più attenti e intraprendenti.

Inutile dire che completamente sono d’accordo con lui.

 

 

Teatro: “Nessuno lo sapeva che eravamo santi” di Eraldo Miscia, regia di Eva Martelli

“Nessuno lo sapeva che eravamo santi” è una pièce liberamente tratta dall’omonimo poema di Eraldo Miscia, originario di Lanciano per la regia di Eva Martelli, messo in scena dalla  compagnia de  “Il Piccolo Resto” e l’Associazione Culturale L’ Altritalia di Lanciano.

La mia amica Irene Giancristofaro mi ha parlato molto dello spettacolo che ho trovato davvero emozionante e suggestivo.

La sua recensione e il libretto di sala, scritti davvero con l’anima, raccontano così bene la storia che ne riporto il testo integralmente, corredandolo  con alcune immagini del’intenso reportage fotografico  di Alessandro Tenaglia.

Buona lettura!

Spettacolo al Fenaroli “Nessuno lo sapeva che eravamo santi”

 La compagnia teatrale de “Il Piccolo Resto” e l’Associazione Culturale L’Altritalia di Lanciano invitano al racconto di alcune storie di uomini deceduti nella tragedia avvenuta a Marcinelle l’8 agosto del 1956. “Nessuno lo sapeva che eravamo santi” è una pièce liberamente tratta dall’omonimo poema di Eraldo Miscia, originario di Lanciano, curata dalla regista Eva Martelli. Il testo di Miscia non affronta direttamente l’episodio dell’incidente nella miniera ma racconta la condizione di vita nell’Italia nel decennio che va dal 1945 alla metà degli anni ’50. Dieci donne in scena ricordano il meccanico Taddeo, Stefano l’amoroso, Antonio lo spretato, il facchino Filippone e il sindacalista Canuto. Lo spettacolo, rappresentato a Lanciano nel 2012 nella sua prima versione, nel giugno del 2013 va in scena al Bois du Caizer di Marcinelle, dove riceve un prestigioso riconoscimento. Nel novembre 2016 debutta al teatro Paul Garcin di Lione con un nuovo allestimento, ospite dell’Istituto di Cultura su invito del Consolato Italiano. “Nessuno lo sapeva che eravamo santi” si presenta come un’esperienza che, attraverso un lavoro di pratica teatrale, diviene drammaturgia e materia multidisciplinare, declinandosi in diverse forme all’interno di un progetto in continua evoluzione. Vi troviamo anche un “Diario” scritto da Irene Giancristofaro, a supporto di un’opera che vuole essere un pre-testo per ricordare la storia d’Italia del dopoguerra, dal punto di vista delle donne.

 

Diario “Nessuno lo sapeva che eravamo santi”

Recitato:

Pensando alle donne rimaste

Quando tornerai a casa, il Cristo che è sempre nella nostra camera da letto scenderà dalla croce e tutto sarà abbondanza. Io provvedo alla mia fame, alla mia sete, al mio sonno, alla mia giovane bellezza e alle mie speranze. Ho bisogno di fare e inventare per non smarrirmi in questa scarna realtà, dove il mio cuore rimpicciolisce e non vuol farsi muto”.

Pensando alle donne rimaste e agli uomini che partirono

Benedette le donne, quando la loro complicità non è abitata da sensi di colpa, buona da stendere al sole come bianche lenzuola di lino. Lenzuola in cui fanno l’amore e partoriscono la vita. I destini nascono avvolti da un bianco di femmina. Quando si nasce non si è soli. Ma quando si muore si può essere soli, dentro un buio colore di lutto indossato da chi rimane a vegliare i ricordi. Il resto, poi, sarà silenzio o diverrà memoria … i sepolcri e gli altari continueranno ad essere bianchi.

Pensando di “scendere tutti in miniera”

Nei pozzi, la luna la si trova nel fondo. Galleggia in uno specchio d’acqua rotto dai sassi, che ne frammenta l’anima riflessa. La sua luce incontra i sogni e le ombre, trovando dimora nel coraggio di chi scende a guardarla da vicino. Chi griderà il proprio nome ad ogni liquida luna, tornerà a cercarne l’eco per non sentirla smarrita.

Pensando agli emigranti

La fame e la storia ci esiliarono in una terra che negò l’accoglienza di un abbraccio. Ci seppellì nello stesso modo in cui ci fece vivere, indegni di pietà. Un rito maschio, celebrato sugli altari, ci volle santi fuori dalle chiese e da ogni verità. Ora, qualcuna guarisce le nostre ferite e non ci aspetta alle uscite. Canta parole che si fecero mute, ponendo un sasso e una rosa sui nostri sepolcri. Ci sentiamo nudi di giustizia e amore e chiediamo diritto di vestizione. Solo così potremo continuare il nostro cammino, senza inciampare nelle stelle.

Pensando al Dio di un minatore

Ci sono alcuni che hanno bisogno di inventare Dio, altri di accontentarlo ed altri ancora di comandarlo. Io avevo bisogno di amarlo, anche in quel suo sguardo distratto. Il giorno in cui morii, Dio era nelle chiese, dove è più facile farsi ascoltare. Nelle chiese, i crocifissi e i santi li puoi toccare con mano. La fede non insinua dubbi quando te la ritrovi davanti. L’uomo ha bisogno che un mistero possa assumere una sembianza, per essere credibile. Un Dio fatto di niente non può pretendere di concedersi neanche alle anime più semplici … e noi non lo eravamo, a dispetto di tutti. Dio, ti ho perso e ritrovato tante volte nei miei naufragi, in cui eri tempesta e approdo. Tormento e salvezza. Matrigna e madre. Inquietante e necessario, ti ho respirato senza comprenderti.

Pensando alla morte

La Morte è impudica perché serve Dio e il diavolo. È ladra, femmina di bordello, padrona e signora degli altari. Non concede mai un mancato finale. Gioca a rilancio al buio all’inferno e con i santi. È dolorosa e temuta come la libertà, sacra e terrena come una religione. È un mistero difficile da spiegare, se non lo si è compreso già.

Pensando alla figlia di un minatore

Prima che io nascessi fosti statua d’ebano fuori dalle chiese. La tua sposa ti mise dentro una preghiera che ti accompagnò nel buio di un cielo capovolto, dove respirasti polvere scura, puzzo di sudore e di paura. La luce delle lanterne non erano come quelle delle stelle. Avevano sguardi di matrigne, non di sorelle. Padre, la tua storia mi è stata raccontata dai silenzi di mia madre. I suoi sguardi hanno taciuto giorni subìti, scelte obbligate e un dolore perduto. Io ti voglio amare, anche per ciò che di te non compresi e non seppi perdonare. Ora non desidero più inventarti, sono tua figlia e voglio ereditarti.

 

 

Pensando ad un figlio di un minatore morto.

Ti ho conosciuto come un padre mai nato, naufrago in una terra di minatori che ti fece soldato. Per te il tempo remò controcorrente, mentre combattevi una guerra mai dichiarata che arruolò tanta gente. Ti cerco in giorni perduti, in ricordi prestati e in volti scordati. Ti conduco in posti dove non sei mai stato, per darti quello che ti è stato rubato. Ti parlo nell’istante di una fotografia, raccontandoti ciò che non sono o che si vuole che io sia. Non mi basti mai perché non ti conoscerò come avrei dovuto e non saprò ciò che sai e che mi hai taciuto. Dicono che l’amore inventato non vale il ricordo di nessuno … ma cosa ne sa la gente? Non conosce questo mio dolore, non ne sa niente.

Pensando ai minatori morti

Un utero di terra ci diede dimora,

e noi credemmo di poter nascere ancora.

Ci resero uomini inferiori ai nostri sogni,

con giorni di sole

freddi come in un albergo a ore.

Eravamo figli senza padri,

alberi sradicati,

fiumi arginati,

vento di grecale

e pioggia di acqua e sale.

Ci abbracciammo nel dolore di quell’unico volo,

senza bisogno di confessarci amore.

 Irene Giancristofaro

Art Beat n°4: Robyan parla di Seripop

Oggi vi parlo di una coppia di artisti che fino a poco tempo fa lavorava sotto il nome d’arte di Seripop: nell’agosto 2010 a Vienna presso la Kunst Halle nel Museumsquartier a Karlsplatz ho avuto la fortuna di vedere una mostra dal titolo “Basquiat bis Seripop” (Da Basquiat a Seripop) che si svolgeva contestualmente ad un’altra mostra su Keith Haring. Il Museumquartier è una specie di villaggio artistico dove si concentrano gallerie d’arte contemporanea e musei, tra un padiglione e l’altro vi sono bar e ristoranti oltre a una zona relax con panchine originali dove è possiblie sostare sdraiati e ascoltare musica o leggere un libro.

Chloë Lum e Yannick Desranleau alias Seripop sono due artisti visivi multidisciplinari che vivono e lavorano a Montreal. Il loro studio si concentra sulla durata dei materiali: come le sollecitazioni subite causino sbiadimento, affondamento, sbucciatura, sgretolamento o schiacciamento e come queste reazioni possano essere fermate per ridare loro nuova vita.

Il duo oltre a lavorare in coppia è interessato a collaborare anche con gli altri artisti e con i materiali che utilizzano, sia come soggetto che per interesse di ricerca. Questi interessi in collaborazione e materialità si realizzano tramite installazioni, scultura, fotografia, danza, stampa e video in cui i materiali vengono osservati e seguiti nel loro processo di decadimento, per essere riutilizzati e riattivati usando ciò che resta del loro vecchio utilizzo.

Chloë eYannick hanno all’attivo tante mostre e di recente hanno esposto al Confederation Center di Charlottetown e al Center for Book and Paper Arts presso il Columbia College di Chicago dove sono diventati membri della band AIDS Wolf che fa rock d’avanguardia.

Artisti molto giovani ed eclettici che spaziano dalle arti visive alla musica, talento e creatività unite a voglia di condividere e collaborare con altri, cosa che non accade di frequente nel mondo dell’arte a certi livelli.

Quando ho vistato questa mostra, oltre a Seripop e Basquiat ho avuto modo di poter vedere anche tanti altri artisti tra i quali Banksy e Mark Jenkins: mi ha colpito molto quanto rispetto e amore per l’arte hanno a Vienna e come, specie l’arte contemporanea, viene valorizzata e promossa, non solo nel Museum Quartier a Karlsplatz ma in tutta la città: un esempio da imitare, specie in Italia dove abbiamo tanta arte antica, moderna e contemporanea.

 

Art Beat n°4: Robyan talk about Seripop

Today I am talking about a couple of artists who until recently worked under the name of Art Seripop’s: in August 2010 in Vienna at the Kunst Halle in the Museumsquartier in Karlsplatz I was very lucky to see an exhibition titled “Basquiat Bis Seripop “(From Basquiat to Seripop), which was held at another exhibition on Keith Haring. The Museumquartier is a kind of artistic village where contemporary art galleries and museums are concentrated, between pavilions  there are bars and restaurants as well as a relaxation area with original benches where you can lie down and listen to music or read a book.

Chloë Lum and Yannick Desranleau are multidisciplinary visual artists based in Montreal. Their work focuses on the lifespan of material; how material stresses cause fading, scuffing, peeling, crumpling or crushing, and, how these reactions can be said to animate the materials. The duo is equally interested in collaboration, with each other, other artists, and their materials, as both subject matter and research interest. These interests in collaboration and materiality inform their practice in installation, sculpture, photography, dance, print and video wherein objects perform via their decay; to be re-used and re-deployed wearing the traces of past use.

They have exhibited widely, recently at The Confederation Center for The Arts Gallery in Charlottetown, P.E.I, and The Center for Book and Paper Arts at Columbia College in Chicago. They where founding members of the avant-rock band AIDS Wolf, and until recently, collaborated under the name Seripop. Yannick Desranleau holds an MFA in sculpture from Concordia University, while Chloë Lum is currently an MFA candidate at York University. Their work is collected by the Victoria and Albert Museum and by the Montreal Museum of Fine Art.

Art Beat n°3: Robyan parla di Joshua Allen Harris e Maurizio Cattelan

 

Joshua Allen Harris: mette Un sacchetto sulle grate della Metropolitana e crea la sua arte.

A prima vista sembra un semplice sacchetto della spazzatura poggiato sulla grata del sottopassaggio pedonale della metro di New York invece si tratta dell’idea geniale di uno street artist: Joshua Allen Harris.

Joshua è nato a Pittsburgh in Pennsylvania, dove ha studiato grafica e illustrazione.
Si trasferisce a New York nel 2004 per frequentare la Scuola di Arti Visive dove consegue la laurea in Belle Arti.
Nel 2006 lancia il progetto Air Bear che ben presto lo rende famoso in tutto il mondo.

Si tratta di sculture cinetiche fatte con buste della spazzatura che l’artista modella a forma di animale, le quali poste sulle grate delle metropolitane o delle strade, si gonfiano e si sgonfiano al passaggio dell’aria, trasformandosi magicamente in orso (Air Bear), scimmia, giraffa e persino mostro di Loch Ness.

Joshua per realizzare le sue particolari opere d’arte, usa due elementi: l’aria che esce fuori dalle grate della metropolitana e i sacchetti di plastica. L’aria entra dentro le buste inerti dando loro vita e movimento, la sua tecnica chiamata “Balloon Animal.” Deriva proprio dal fatto che le buste si gonfiano proprio come palloni.

L’Air Bear Project è servito anche a promuovere una campagna di carattere sociale e ambientale  promossa dall’Environmental Defense Fund destinata alla protezione dell’orso polare.

Joshua attualmente lavora come consulente creativo per importanti aziende creando campagne pubblicitarie, cataloghi e vetrine.
Nel 2012 inizia a esplorare la fotografia. Da quel momento decide di perseguire entrambe le strade; comunicazione e fotografia, sia per progetti commerciali che personali.
Vive tutt’ora a New York nel quartiere di Brooklyn con sua moglie Cameron.

 

 Maurizio Cattelan: Be Right Back (Torno subito)

Regia di Maura Astelroad per la Nexo Digital in collaborazione con Feltrinelli Real Cinema.

 

Maurizio Cattelan (Padova, 1960) è un artista che divide, da sempre: c’è chi pensa sia un genio, chi lo considera un bluff, chi addirittura si indigna per il suo successo, descrivendolo come un personaggio dannoso per l’arte italiana e mondiale.

Ma Cattelan ha sempre giocato abilmente con queste contraddizioni, lavorando al confine tra la genialità e il colpo di fortuna, atteggiandosi ad artista del fallimento, alternando leggerezza e tragedia come solo Andy Warhol prima di lui era riuscito a fare.


Maurizio Cattelan: Be Right Back, il lungometraggio diretto da Maura Axelrod, cerca di raccontare l’artista padovano intervistando curatori, collezionisti, protagonisti del mondo dell’arte ed ex-fidanzate.

Il docu-film, dopo l’anteprima al Tribeca Film Festival, sarà nelle sale italiane il 30 e il 31 maggio nell’ambito della stagione della Grande Arte al Cinema, distribuito da Nexo Digital in collaborazione con Feltrinelli Real Cinema.

Art Beat n° 3: Robyan talk about Joshua Allen Harris and Maurizio Cattelan

Joshua Allen Harris: puts a bag on the underground lattice and creates his art.

At first glance it looks like a simple garbage bag resting on the lattice of the New York subway, instead it is the brilliant idea by the street artist Joshua Allen Harris.


Joshua was born in Pittsburgh, Pennsylvania, where he studied graphics and illustration.
He moved to New York in 2004 to attend the School of Visual Arts where he graduated in Fine Arts.
In 2006, he launched the Air Bear project, which soon became famous all over the world.


These are a cinematic sculptures made with garbage bags that the artist models like animals, placed on the grids of the subway, that inflate and deflate by the air passage, turning magically into a bear (Air Bear) ,monkey, giraffe, and even monster of Loch Ness.
Joshua, to create his particular artworks, uses two elements: the air coming out of the underground grates and the plastic bags. The air enters the inert envelopes by giving them life and movement, its technique is called “Balloon Animal.” because that envelopes swell just like balloons.
The Air Bear Project also was used to promote a social and environmental campaign promoted by the Environmental Protection Fund for polar bear protection.

Joshua currently works as a creative consultant for major companies, creating advertising campaigns, catalogs, and showcases.
In 2012 he began to explore photography. From that moment he decides to pursue both ways: communication and photography, for commercial and personal projects.
He still lives in Brooklyn, with his wife Cameron.

Maurizio Cattelan: Be Right Back 
Directed by Maura Astelroad for Nexo Digital in collaboration with Feltrinelli Real Cinema.

Maurizio Cattelan (Padua, 1960) is an artist who has always divided: someone thinks he is a genius and someone considers him a bluff, even there is also who is indignant of his success, describing him as a bad character for Italian and worldwide art.
But Cattelan has always skillfully played with these contradictions, working on the brink of genius and fortune-telling, attending to the artist of the bankruptcy, alternating lightness and tragedy as only Andy Warhol before he had succeeded.

Maurizio Cattelan: Be Right Back, the feature film directed by Maura Axelrod, tries to tell this Padua artist interviewing curators, collectors, protagonists of the art world and ex-girlfriends.


After a preview at the Tribeca Film Festival, the docu-film will be in Italian halls on the 30th and 31st of may during the Grande Arte al Cinema season, distributed by Nexo Digital in collaboration with Feltrinelli Real Cinema.