Umberto Maria di Giuseppe, eclettismo e passione come stile di vita.

Umberto Maria di Giuseppe, eclettismo e passione come stile di vita.

Anni fa incontrai due miei cari amici che sognavano di diventare stilisti e sapendo del loro talento, quella sera li incoraggiai a tentare: uno di loro è Umberto Maria di Giuseppe.

Oggi vive a Milano e da anni e si divide tra l’Europa e l’Asia collaborando per marchi internazionali di Pret à Porter uomo e donna.

 

Ricordando i vecchi tempi ho chiesto:

 

Quando è nata in te la passione per la moda?

 

Sono cresciuto in una famiglia in cui avere stile è sempre stato importante, per questo ho imparato presto a riconoscere un accessorio raffinato e un abbinamento studiato: negli anni 80′ ho seguito con grande interesse il boom della moda italiana e internazionale.

 

Gianni Versace è stato lo stilista che ha stimolato la mia inventiva più di ogni altro, segnando una svolta nel mio percorso creativo.

 

Tuttavia per me era un mondo irraggiungibile che un ragazzino di provincia guardava da lontano.

 

L’idea di farne parte era un sogno, ma un incontro “casuale” mi suggerì di tentare: supportato dalla famiglia, con mia madre in prima linea, andai a studiare moda a Milano e da lì partì la mia avventura.

 

Hai lavorato tra Europa e Asia, raccontami la tua esperienza e quali sono le differenze.

 

Terminati gli studi ho fatto la gavetta: la prima esperienza mi ha portato a conoscere la creatività legata ad una forte organizzazione commerciale. La ricerca dei materiali e l’innovazione stilistica dovevano muoversi all’interno di una griglia di meccanismi ben precisi;

 

lavorare secondo uno schema, canalizza l’inventiva: creatività e innovazione non sono frenate ma valorizzate per ottenere il miglior risultato commerciale e di stile, ottimizzando gli sforzi.

 

Questo approccio lavorativo è diventato parte di me e mi ha guidato proficuamente nella carriera.

 

Come vedi il futuro per il Made in Italy?

 

Ritengo che l’eccellenza italiana sia ancora superiore, perciò questo bene inestimabile va preservato.

Purtroppo è poco protetto dallo Stato: altre nazioni supportano il proprio artigianato, in Italia invece i privati devono combattere da soli con grande sforzo e nemmeno l’utente finale ne è consapevole.

Se si vuole che il Made in Italy possa avere un futuro, Stato e aziende dovrebbero coalizzarsi per promuoverlo.

Da un po’ di anni a questa parte lo stilista  spesso è sostituito dal fashion blogger o dai cool hunter, cosa ne pensi e come vedi in prospettiva  la professione dello stilista?

 

E’ inevitabile che ci sia un’evoluzione dei meccanismi di ufficio stile:

gli imprenditori possono anche affidarsi a fantasiosi cool hunters o bloggers ma si tratta di fenomeni di passaggio.

 

La figura dello stilista di ricerca e sperimentazione emerge inevitabilmente

in quanto l’unica capace di fare innovazione, l’idea che da’ agli altri modo di parlarne, criticare, ispirarsi e attingere, in una parola “evolvere”.

Progetti per il futuro?

 

In un percorso di evoluzione, parallelamente alle mie collaborazioni, miro ad una collezione personale in cui applicare totalmente la mia esperienza, valorizzando l’artigianalità di un prodotto prezioso che sia espressione del vero lusso.

 

Cosa consiglieresti ai giovani che intendono intraprendere la carriera di fashion designers?

 

I passi tradizionali: iscriversi ad una buona scuola di moda per poi affiancarsi a qualche grande professionista per attingere al suo know -how, evitando di cercare scorciatoie nei social.

 

Il vero talento creativo deve trovare la sua piena realizzazione ed espressione in quanto tale.

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